Carlo Sperduti
La nostra guerra è iniziata in un frangente che alcuni individuano nel tramonto. Nessuno potrebbe dirlo con certezza: ricordo un giorno pieno al primo volo radente, sulla spiaggia; poi subito il tramonto da una finestra di casa, la possibilità di tornare in spiaggia nonostante tutto.
Battute sul capodanno, una riunione di famiglia. Mia nonna, novantaquattro anni, aveva davanti a sé una collezione di gianduiotti e altri piccoli dolci incartati. Sembrava volerli offrire, pur rimanendo zitta e immobile. Ricordo che pensai di prenderne uno, ma la sua bava improvvisa sullo scialle, ammorbidente, mi distolse. Attorno non c’erano gli altri, l’enorme camino, un silenzio annidato dietro il padiglione auricolare destro che all’epoca aveva un nome: la sintassi è quella del reale.
F-35, dal mare. Sapevamo che in quella direzione non c’era mai stata terra e che il progetto della landa artificiale era naufragato da un decennio abbondante e mai più riconsiderato: fu il dato che ci rese inquieti, prima ancora di averlo elaborato. Poi le acrobazie in volo, giocose, particolarmente distanti dalla nozione di attacco eppure il suono, rombi assordanti, e l’aspetto.
Decidemmo noi la guerra, benché i dubbi fossero di gran lunga maggiori delle certezze. Li attaccammo quando avevamo già capito: li attaccammo perché avevamo capito.
Si stavano mimetizzando con ciò da cui fuggivano.
Seguivano traiettorie non meccaniche di mosche, piroettavano e cadevano in improvvise picchiate, piantandosi. Sparivano interrati, non li si vedeva a lungo, li si riconosceva poi nonostante la mutazione: spuntavano e ramificavano, ragni vegetali grigioperla sul mare.
Si congiungevano, erano anche uno.
Raggiungevamo la spiaggia armati di fuoco e falcetti, li massacravamo, non ci avevano mai attaccati, producevano suoni: non lamenti ma constatazioni di morte, commenti a margine all’inconseguenza, non smettevamo, non avremmo smesso.
In un’alba mia nonna spostò lo sguardo per la prima volta in sei anni.
Seguendolo valicammo la finestra a nord-ovest, dalla quale potevamo osservare in lontananza la parte più remota di spiaggia, col caffè. Lì erano rimasti gli ultimi: prima, una distesa carbonizzata che avremmo ripulito in qualche modo e un odore di deforestazione.
Uno allungò una frusta in cielo, abbattendo un velivolo che esplose al suolo: inaugurava col sibilo degli altri in arrivo la guerra che non abbiamo deciso.
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