Da uno scambio di mail con Jacopo Ramonda (che ringrazio per aver accettato di rendere pubblica la breve conversazione), su Il paziente crede di essere (Gorilla Sapiens, 2016):
J.R.:
ho riletto le prose che mi ero segnato durante la prima lettura, e cioè quelle che mi avevano colpito di più: Difesa, Sent-, Mario (3), Fragilità del felice, Sotto i lecci (mia preferita in assoluto), 1-2, Il primo, Endoglossa, Il paziente crede di essere.
Non a caso, ad eccezione di quella che dà il titolo alla raccolta, fanno tutte parte della prima sezione, che mi sembra essere la meno estrema del libro.
Insomma, al di là delle differenze tra noi, sia a livello di poetica che di gusti, ti scrivo per dirti che secondo me le prose che ti ho citato sono oggettivamente molto belle, al di là delle categorie critiche nelle quali possono o non possono essere inserite.
M.G.:
sono felice di questo messaggio, ti ringrazio. forse, ipotizzo, i testi che segnali sono in qualche modo tutti legati dal comune denominatore di un (fantasma di) elemento logico, razionale. come un primo momento o tratto di teorema che la narrazione si incarica poi di sviare, sgretolare, perdere per strada (smarrendo, con il teorema, forse anche il narrare).
tuttavia questi testi mantengono in essere una (come definirla?) soglia di narrabilità che non cancella tutti i parametri di orientamento del/nel testo, che infatti in linea di massima può e deve esser percorso linearmente.
la cosa è messa più radicalmente in crisi dalla seconda sezione del libro (non ovunque però: spesso la crisi, come in Ammi, è ‘scattered’, sparsa, punteggia e non spezza l’iter del testo). il più evidente collasso della linearità è semmai nei testi-lista, elencativi. ma dico ovvietà.
J.R.:
mi trovo molto d’accordo con la tua risposta: io sono un malato di razionalità, o forse, più che di razionalità, di chiarezza, di comunicazione fondata sulla chiarezza espositiva, che è il mio punto forte e il mio limite allo stesso tempo: infatti mi piace anche quando viri verso il surreale o l’assurdo, l’irrazionale, ma mantenendo una chiarezza espositiva piuttosto cristallina, tenendoti a distanza dall’elemento criptico, che non fa per me, oppure dall’elencazione, che come hai giustamente colto non è nelle mie corde. Anche se con delle eccezioni, perché non si può mai dire: nella prosa Il paziente crede di essere mi piace anche la prima parte ad elenco, perché la frase “il paziente crede di essere” è molto evocativa: crea già da sola non una narrazione ma un contesto, una cornice, nella quale poi la prosa si sviluppa nei successivi resoconti a fasce orarie (quelli sì, micronarrativi).
Hai ragione anche su Ammi: mi era sfuggita, anche quella è una micronarrazione che si legge linearmente.
2-3 agosto 2017