Abdi ha provato a fuggire ma è andata male.
Malissimo.
Dopo che Abdi e gli altri detenuti, rinchiusi nel suo stesso lager, riescono a forzare la serratura della porta della cella, tutti iniziano a correre verso l’uscita.
A perdifiato.
Le guardie libiche reagiscono sparando sulla folla. Uccidono 26 persone indifese: 24 ragazzi e 2 ragazze.
Abdi corre il più velocemente possibile, con tutta la forza che ha nelle gambe, ma Abdi di forza ne ha veramente poca.
I tanti mesi trascorsi in una piccola cella sovraffollata con poco cibo e poca acqua lo hanno fatto deperire, riducendolo pelle ed ossa.
Abdi riesce a scampare ai proiettili ma non alla cattura. Riportato in prigione, i suoi aguzzini gli conficcano un grosso chiodo nel piede così che non provi a fuggire un’altra volta.
Quando si è rivolto a noi, Abdi vagava a Roma da 3 giorni senza cibo e con vestiti leggeri.
Al presidio gli sono state date scarpe, giacca, una coperta e del cibo e Abdi ha chiesto cosa avrebbe potuto fare lui per sdebitarsi dell’aiuto ricevuto.
Sdebitarsi.
Lui.
Con noi.
Noi che paghiamo quella Guardia costiera che lo ha catturato in mare e ricondotto nei lager. Continua a leggere