22 maggio 2006 / annotazione per “le fortune”

lunedì, 22 maggio 2006   [link]

Annotazione per Le fortune

[scelta di dieci poesie, in «Nuovi Argomenti» n.33, gen.-mar. 2006, pp. 176-185]

Il tema di fondo de Le fortune non è diverso da quello del Segno meno, e quindi implicitamente coincide con la medesima ossessione de La casa esposta (che infatti include Il segno): la dissoluzione e decadenza dei luoghi, dei rapporti, delle fortune, la dispersione delle cose, l’indebolirsi del loro getto di senso. Tema, fra altri, elettivamente barocco, ma – direi – giocato meno sul piano della natura morta che su quello otto-novecentesco della fotografia in generale (vista come accumulo di possibili cadute, collezioni di evidenze di mortalità, piccole ceneri esposte), e in particolare del fotogramma/ritratto, o addirittura frame di videoclip.

Il desiderato (e si spera conseguito) rilievo allegorico di questi testi fa riferimento a quell’idea di allegoria cava a cui in più di un’occasione ho accennato. Il nitore di oggetti nominati e forme e personae non rimanda necessariamente a una tavola di decodifica stabilita, ma intende semmai – anche con il suo semplice ed esperibile allegorizzare – far riferimento a un più ampio sfondo di senso-non-senso in cui si incastona qualsiasi circoscritta operazione di semiosi.

La follia dei rapporti e delle strutture della civiltà moderna e postmoderna, la distruzione del tempo individuale, configurano non una ricerca di luoghi e memorie, ma una purissima e perdente rete di resistenze alla sparizione, alla morte. La battaglia è per la vita fisica, per il cibo, il lavoro, la sanità mentale – o una qualche sua procedura di simulazione. Non Proust ma Beckett segna questo tratto di storia.

Allora, come spiegare un linguaggio che, stando a Le fortune, sembrerebbe non orientato da/su Beckett? Forse proprio con la volontà di sintassi e allegoria (agglutinante la prima, vuota e in ciò forse beckettiana la seconda) che mira a ricostruire un orizzonte in cui il senso-non-senso sia presentito, e possibile. Lo sfondo di possibilità del senso, escluso dalle nuove percezioni al passaggio da modernità a postmodernità, ricompare allora come margine e apertura impliciti nell’esperire in generale.

Operare allegoricamente e sintatticamente – pur entro frantumazioni e riconfigurazioni di periodo – dispone e apre sul campo letterario un gioco che assomiglia utilmente all’esperire più generale, al consueto dar senso (e non senso) a cose, che normalmente ci convoca, nella vita, comunemente, continuamente. Un dato artificioso nel dettato del libro – p.es. proprio nelle torsioni sintattiche – è o può essere allora spiegato con l’aggiustamento, la continua messa a punto (a fuoco) che la realtà percepita di fatto sempre chiede.

Non costituisce un’area estranea al reale, e però non è un realismo. Semmai è l’opposto. Pur non essendo gioco sillabico o sintattico-relazionale arbitrario, né gusto sterile dell’enigma, dello stemma.


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