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“progettare l’opera plurale”: 2006, fondazione baruchello

Il 29 ottobre 2006, lo stesso anno della nascita di gammm, anzi esattamente millimetricamente quattro mesi dopo, si svolgeva presso la Fondazione Baruchello la tavola rotonda “Progettare l’opera plurale”, seguita poi da “opere, azioni, interventi” di vari artisti. La cura dell’incontro era di Nanni Balestrini, Gianfranco Baruchello, Tommaso Ottonieri e Carla Subrizi.

Partecipavano Elisa Biagini, Carlo Bordini, Annalisa Cattani, Vincenzo Chiarandà (Undo.Net), Anna Cestelli Guidi, Luigi Cinque, Andrea Cortellessa, Fabrizio Crisafulli, Maria Pia De Vito, Arianna Di Genova, Lorenzo Durante, Adriano Engelbrecht, Marcello Faletra, Emilio Fantin, Mauro Folci, Giovanni Fontana, Donatello Fumarola, Gino Giannuizzi, Marco Giovenale, Dario Iurilli, Canio Loguercio, Giovanna Marmo, Marcello Martusciello, Giulio Marzaioli, Luca Miti, Vincenzo Ostuni, Cesare Pietroiusti, Daniela Rossi, Sara Ventroni, Giacomo Verde, Cesare Viel, Lello Voce.

Ritrovo questi (non del tutto ingenui) appunti che avevo preparato in vista dell’incontro: https://slowforward.net/2006/10/30/op-plu1/ (anche in pdf qui oppure su archive.org o su Academia).

le scritture non integrate, né integrabili

rileggo un articolo di Antonio Francesco Perozzi, dello scorso anno: https://www.layoutmagazine.it/lirica-ricerca-saggio-poesia-teoria-del-tutto-poetico/.
e mi sorprende positivamente e piacevolmente un passaggio, soprattutto. questo: “Ecco, perciò, la natura quantistica della scrittura di ricerca: il testo non è proposto come massa, ma come sintomo di un’indeterminazione”.
non potrei essere più d’accordo.
meno in sintonia mi sento circa l’idea di una possibile/ipotizzabile “teoria del tutto poetico”. questo tutto, che sicuramente esiste, patisce (credo) il limite dell’aggettivo: “poetico”.
ipotizzo, invece: quanto più ci si avvicina all’oggetto di osservazione, ossia al campo di conflitti costituito dalle scritture contemporanee, tanto più ci si allontana da una loro integrazione e integrabilità, anche semplicemente come appezzamenti confinanti da unire o disunire vedendoli comunque come parti della più ampia geografia della “poesia”.

e, ancor meglio: ci sono delle “cose”, degli oggetti verbali non identificati, che non sono appezzamenti ma veri vettori di distanziamento dal genere poesia. talvolta perfino dal letterario.

verso la ricomprensione di alcune scritture sotto la dicitura “poesia” nutro la stessa sfiducia che provo verso ogni ipotesi di fusione o integrazione di alcuni elementi frammentari, prose brevi, schizzi, materiali irregolari, nel più vasto corpo della forma romanzo.

ci sono scritture che risultano cocciutamente ostili e contrarie a nutrire il predatore. si vorrebbero, anzi, all’opposto, velenose per quest’ultimo.

hanno tutta la mia simpatia.

luigi bonfante su duchamp, “fountain”

Gli elementi della rivoluzione duchampiana che portano alla realizzazione sia del Grande Vetro che dei readymade sono dunque gli stessi: il rifiuto della pittura, che è fatta con l’occhio e la mano, l’innovazione radicale, lo humour e l’ironia, l’indifferenza estetica, il gioco di parole, il caso. E tutti puntano verso una stessa direzione, paradossale per un artista: mettere in dubbio l’arte; o meglio, «farla finita con l’arte», «privare l’artista della sua aura», «sminuire il suo status all’interno della società». «La parola arte significa fabbricare, fare con le mani […]. Anziché farla, io la ottengo già fatta. […] è un modo per negare la possibilità di definire l’arte.»
L’Orinatoio vuole dunque rendere impossibile definire l’arte. E lo fa mettendo in cortocircuito l’utopia della libertà assoluta d’innovazione: se si elimina qualunque autorità estetica con il motto “niente giuria, niente premi”, s’impedisce sì, nel modo più drastico, che il passato limiti la libertà creativa, ma si legittima anche l’idea che chiunque possa essere artista e qualunque cosa egli proponga possa essere “opera”. Negli anni sessanta l’eredità di Fountain produrrà anche slogan come quello del movimento Fluxus “Tutto è arte e chiunque la può fare”, che troverà forti risonanze nello spirito di quel tempo e in molte esperienze artistiche coeve. Per esempio in Joseph Beuys, che criticherà Duchamp per aver abbandonato l’arte senza aver tratto la logica conclusione del suo gesto, cioè che «ogni essere umano è un artista».
Ma Duchamp era un dandy ironico e un individualista radicale, estimatore dell’Unico di Stirner. Basta pensare al Grande Vetro per capire che la sua produzione, così esoterica, enigmatica e sfuggente, ha ben poco a che fare con l’utopia di Beuys. Del resto, lo dirà esplicitamente: «L’individuo artista esiste, è esistito ed esisterà sempre, ma in quantità molto ristrette».
Anche se la rivoluzione di Duchamp (come quella di molte avanguardie del Novecento a partire dal Dadaismo) ha come conseguenza il dissolvimento del confine tra arte e vita, con Fountain egli non vuol dimostrare che tutto è arte e che quindi tutti possono essere artisti. Il suo primo, evidente intento è la dissacrazione dell’arte, di quell’arte che riteneva troppo “retinica” e troppo legata alla figura demiurgica dell’artista e al gusto. Il gusto è un’abitudine, diceva: «Se si ripete più volte qualcosa, si trasforma in gusto». Per questo si era messo a fare cose che sarebbe stato impossibile o assai difficile rinchiudere in qualche abitudine di pensiero, in qualche significato prestabilito. L’Orinatoio è l’esito più esplicito, caustico e ironico di questa dissacrazione dell’arte. Una dissacrazione che non corrisponde però all’antiarte del Dadaismo, perché l’antiartista, per Duchamp, è come un ateo: crede in negativo. Invece lui è uno scettico ironico, una mente cartesiana e corrosiva che dubita di tutto e non prende niente sul serio, a cominciare dall’arte stessa, che non vuole distruggere, ma appunto dissacrare: toglierle l’aura di superiorità, il carisma spirituale. Per questo ama definirsi “anartista”. A questo punto è evidente che l’opera più influente del Novecento non è un’opera d’arte, innanzitutto perché non rientra nel significato di “arte” elaborato dalla nostra cultura, per il quale bellezza ed emozione estetica sono concetti essenziali. Invece di suscitare emozione estetica, Fountain stimola domande di tipo filosofico: cosa fa di un oggetto un’opera d’arte? È davvero indispensabile che siano la mano, l’occhio e il gusto soggettivo dell’artista? Non potrebbe essere semplicemente il gesto mentale di scegliere qualcosa? (In fondo anche i tubetti di colore, arriverà a dire Duchamp, sono dei readymade scelti dal pittore.) In questo senso, anche se ironia, paradosso e ambiguità rendono inafferrabile il gesto di liberazione del readymade, si potrebbe dire che Fountain non è un’opera d’arte perché è un’opera sull’arte, un oggetto che stimola riflessioni sulla natura e il senso dell’arte stessa.

Luigi Bonfante CATASTROFE UNO. Duchamp e la spora aliena. Fountain, 1917-1963, in Catastrofi d’arte. Storie di opere che hanno diviso il Novecento, Johan & Levi editore, 2019

bruno munari, da “teoremi sull’arte” (1961)

Bruno Munari, (1961), Teoremi sull’arte [art Theorems] [art Théorèmes], English translation by Isobel Butters Caleffi, French translation by Annie Pissard Mirabel, Corraini Edizioni, Mantova, 2003 [First published by All’insegna del pesce d’oro, Scheiwiller, Milano, 1961] _ Imgs: https://at.tumblr.com/garadinervi/bruno-munari-1961-teoremi-sullarte-art/zd9dzzq0ug7f

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“sapienziale”: un saggio di davide castiglione, online su ‘polisemie’

Davide Castiglione annuncia su fb l’uscita su Polisemie di “uno studio monstre (42 pagine)” in cui sviluppa “un modello stilistico-pragmatico per analizzare gli enunciati universali o almeno generali (sentenze, proverbi, stereotipi, tesi ecc.) in poesia” applicandolo “a quattro autori intensamente frequentati: Cristina Annino, Milo De Angelis, Marco Giovenale e Guido Mazzoni”, cercando inoltre “di ridefinire il controverso concetto di assertività, ancorandolo a ciò che in effetti fa il testo, proprio a partire da quella classe di enunciati”.

https://polisemie.warwick.ac.uk/index.php/polisemie/article/view/890/934

carmelo bene – giorgio colli, un incontro con federico primosig – fuori orario

Qualche parola sui rapporti tra Giorgio Colli e Carmelo Bene prima della messa in onda di Modi di Vivere – Giorgio Colli del 1980, all’interno della nottata del 9 aprile 2022 di “fuori orario” dedicata a Carmelo Bene. A cura di Fulvio Baglivi.

https://slowforward.net/2020/07/13/modi-di-vivere-giorgio-colli-una-conoscenza-per-cambiare-la-vita-mauro-misul-marco-colli-1980/

on some hypothetical categories of asemic writing / marco giovenale. 2022

Perhaps it is possible, in the field of asemic writing, to distinguish a few —completely hypothetical— categories. I insist that these are mere hypotheses, and that I am not interested in structuring a rigorous theory.

We have (1) concrete asemic writing when only the asemic glyphs and calligraphy, only the asemic letters and sentences are present on the page. No images, no colors.
We can also say asemicrete, a term coined by Michael Jacobson.

We can say we have (2) visual asemic writing when we see the asemic symbols are intertwined, superimposed or when they —in any other way— simply share the page with abstract or realistic images.

We have (3) glitchasemics when an asemic text is evidently disturbed by some kind of glitch: it may even be severely disturbed, but not so much as to make the asemic part completely disappear.

We can say we have (4) abstrasemics when an abstract drawing or image turns itself into something resembling an illegible text, an asemic piece. Or, on the contrary, when a fragment of asemic writing gradually loses any vaguely linguistic aspect and is transformed into an abstract image.

Post scriptum.
At the same time, there are examples of works that marginalize —or do not include at all— an asemic aspect, and I would refer to them as: abstract or realistic paintings (pictorial works, photographs etc.) weirdly called “asemic writing” by their authors; legible alphabets and texts weirdly called “asemic writing” by their authors; monotonous decorations that would hardly be taken for words or sentences.

 

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https://t.ly/tZH_
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https://slowforward.net/2022/08/30/on-some-hypothetical-categories-of-asemic-writing-marco-giovenale-2022/
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https://asemicnet.blogspot.com/2022/08/on-some-hypothetical-categories-of.html
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https://www.platformplee.nl/2022/08/30/on-some-hypothetical-categories-of-asemic-writing-marco-giovenale-2022/
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https://scriptjr.nl/on-some-hypothetical-categories-of-asemic-writing-marco-giovenale-2022/5022#.Yw5GTn1BzMX
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https://differx.tumblr.com/post/694030139131068416/on-some-hypothetical-categories-of-asemic-writing
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https://archive.org/details/on-asemics-categories-mgiovenale-2022/
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https://www.academia.edu/85898197/On_some_hypothetical_categories_of_asemic_writing
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https://puntocritico2.wordpress.com/2022/09/02/on-some-hypothetical-categories-of-asemic-writing/

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asemic writing and the tragedy of the absurd / jim leftwich. 2022

Jim Leftwich

Asemic Writing and The Tragedy of the Absurd
Summer 2022 / Utah

When I say absurd, I don’t mean quirky.
I don’t think absurdity is a variety of comedy.
Finding comedic relief in inconsequential weirdness does not qualify as an experience of the absurd.

Certain styles of comedy monetize a surrealist juxtaposition of clangorous items and/or ideas to elicit Spasms of Guffaw from a naptive audience. As such, they serve a purpose: to disguise the osmotic suffering of those immersed in the petroleus ooze of The Capitalist Ongoing.

The absurd does not organize itself in order to acclimate our minds around any of the currently available varieties of unbearable realities.

The absurd is: a variety of that which is incomprehensible within the human universe.

A mystery is: that which is uplifting because it is experienced as being incomprehensible within the human universe. We celebrate an encounter with mystery.

The absurd is experientially devastating, annihilating, a psychological sparagmos. We may, after a fashion, celebrate the fact that we experienced it and lived to tell the tale.

Asemic writing is capable of embodying, and conveying, the tragedy of the absurd. But only for the those who want that, who want that kind of thing. For those who do not want that kind of thing, asemic writing is also fully capable of being abstract art school dorm room wallpaper and glamping picnic tablecloth design. I know, I am not being very nice, I’m sorry. Did you by chance see Sun Ra and The Arkestra 40 or 50 years ago? They had The Look. Sparkling robes down to the floor, Egyptian Spaceman Hats 3-feet high. Marching around the stage, chanting, gesturing with their instruments towards the ceiling. I saw them with a few hundred other people in 1982 and not a soul was laughing. We’re they absurd? Absolutely. Sublime? Yes.

The Tragedy of the Absurd is experienced as a Magickal Absurdity. Asemic writing is capable of existing along that spectrum of experiences. I learned that in the late 1990’s as part of my introduction to the idea and the execution of asemic writing. I have never been able to want anything else from it.

asemic writing and pareidolia / jim leftwich. 2022


For practitioners and theorists of asemic writing, the perceptual deviation known as pareidolia is an acquired taste and a developed skill. We train ourselves to see alphabetical shapes where there are none, and then we celebrate our inability to read them. This phenomenon could occupy an entire chapter in the Magickal Absurdities Training Manual: The Ecstasy of Asemic Reading.

Personal Perception Management (PPM) is but one of a great many Existential Self-Help (ESH) methods reinsinuated transmutably in The Training Manual. It is known colloquially among The Asemic AntiMasters as PPMESH — Personal Perception Mesh. The tradition, or parade of asemic saints, involved in transmigrating this alchemy of perception from prehistory into the present, includes William Blake, Arthur Rimbaud, Emily Dickinson, Aldous Huxley, Diane di Prima and Jim Morrison. Cleanse the doors of perception to Illuminate the arrangement of the senses.

Or the arrangement of the world(s) by the senses.

Let’s say I make a sequence of tangled squiggles…
I sound them aloud, slowly singing their shapes…
Through the processes of transcription, transliteration, and apophenia, I arrive at a deliberate mishearing of a segment from a song sung by Jim Morrison:

meatza pocca hero, Esau funk, awe yeh

The world is a poem. Some of us know that. Know it whether we want to or not. The world snuck up on us when we were young, and planted the cosmic poem-seed at the base of our tender brains.

Asemic writing works as a kind of pagan missionary for The Poem.

Asemic writing is a mutagen.

Pareidolia is one of its tools, one of its schools, a side effect, mutual aid, elective affinities, the ace of hearts up its sleeve, one foot on the other side of the grave still kicking at the pricks, reinsinuated and impoxximate.

We see what we want to see. No. That’s not right. Read what Thou Wilt. We see what we need to see. Some realities are more real than others. Asemic writing is useful, as a kind of anti-linguistic self-medication for the perpetually seeking psyche. Pareidolia is a method of ongoing research. It allows us to discover, investigate and explore provisional realities. The worlds of pareidolia are experientially real, and as such are causal agents — in our thinking, and in our actions as they emerge from that thinking.

As an entanglement with the processes of pareidolia, asemic writing functions for the perennially seeking psyche as a way of practicing reality.

is asemic writing true? / jim leftwich. 2022

The most important and interesting characteristic of asemic writing is its absolute resistance to interpretation.

The value of asemic writing lies in its semantic emptiness, and relies on the genuine frustration experienced during a failed attempt at interpretation, meaning-building, the collaborative construction of meanings.

Success in reading asemic writing implies an inauthenticity, either of the writing and it’s author, or of the reading and its perpetrator.

Authentic asemic writing denies all access to success.

The complete and utter, total failure of an attempted reading is the only acceptable measure of success for any particular instance of asemic writing.

So, to iterate — and reiterate:
1. asemic writing lies?
2. asemic writing re-lies?
3. asemic writing imp-lies?

Please refer to your copy of The Magickal Absurdities Training Manual for answers and/or elucidations.

Asemic writing has a dirty secret, hidden, as usual, in plain sight: it is all a pack of lies, and always has been.

Asemic writing is not a dispensary for recreational truths.

Asemic writing is not a dispensary for medicinal truths.

Asemic writing does not participate in the language game of dispensing truths.

We have a choice where the existential ground of asemic writing is concerned: either we admit it’s non-existence, and celebrate it for not existing, or we lie to ourselves and each other about it’s existence, and through the persistence of our collective effort, bring it — lie it — into being, no matter how provisional, damaged, and ephemeral that being may be.

Today, in the summer of 2022, there is no denying the fact that a great many things in our world are identified by one variety or another of the term asemic writing.

That in itself is good.

The concept of asemic is generative and tolerant. Let’s frolic in its wonderland! With our first mind celebrating it’s ludic absurdity, and our second mind practicing the pleasures it offers in opportunities for critical thinking.

gustav sjöberg: “la fiorente materia del tutto. sulla natura della poesia” (neri pozza, 2022)

https://neripozza.it/libri/la-fiorente-materia-del-tutto

«Un altro modo di comprendere la materia sarebbe, approssimativamente, di trattarla come una produzione di infinite, innumerevoli forme entro un incessante movimento di decomposizione e composizione, dissoluzione e ricombinazione. Concepita in questo modo la materia non sarebbe più un substrato passivo su cui si debba intervenire con un lavoro formale, bensì, al contrario, una molteplicità di forme che genera se stessa e con cui combacerebbe».

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Gustav Sjöberg, poeta, scrittore e traduttore, vive a Stoccolma. Traduce da diverse lingue, tra cui l’italiano, il latino e il tedesco. Ha tradotto dal latino il De vulgari eloquentia di Dante e dall’italiano opere di Andrea Zanzotto, Giacomo Leopardi, Giorgio Agamben, Giordano Bruno, Gianni Carchia. Ha curato molti numeri della rivista svedese “OEI”, tra cui il n. 67/68 del 2015, monografico sulle scritture di ricerca italiane: Scrittura non assertiva!. Due sue raccolte di testi sperimentali, uscite per le edizioni OEI, sono eftre (2013) e apud (2017). Il volume di teoria letteraria ora pubblicato da Neri Pozza è stato scritto in tedesco e pubblicato a Berlino nel 2020 da Matthes & Seitz con il titolo zu der blühenden allmaterie.

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Dalla nota editoriale di Monica Ferrando:

Chi ha detto che la materia è incapace di creare da sé la forma (o le forme)? D’accordo, è stato Aristotele, lo sappiamo. Ma cosa accadrebbe invece se, forzando il maestro di coloro che sanno, troncassimo il legame tra forma e arte perché «mediante un concetto di forma radicalmente altro diventerà possibile una distruzione dell’arte – e, in particolare della poesia – concepita come ambito autonomo, come sfera distinta dalla non-arte, dalla non-poesia oppure come sublime riflessione sull’esistenza. Non sarà che qui si compie una risoluzione dell’arte nella natura?» Non è alla scienza o alla negromanzia tecnologica faustiana che l’autore affida tale compito, ma alla poesia stessa […]

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Una più ampia nota biobibliografica + un’intervista a Gustav Sjöberg traduttore di Zanzotto:
https://www.newitalianbooks.it/it/intervista-a-gustav-sjoberg-poeta-saggista-e-traduttore/

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scrittura senza spettacolo / mg da maurizio grande. 2020

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mi riesce difficile pensare si possa dire meglio di così, meglio di questo frammento di Maurizio Grande (su CB ovviamente).

dire così, intendo, anche per la letteratura (poesia ecc.)

parlo o parlerei insomma di una SCRITTURA SENZA SPETTACOLO.
(o, forse, meglio: una scrittura senza lo spettacolo della scrittura).

nessun io, nessun Moi, semmai “il soggetto [dell’inconscio] meno la volontà“.
(più chiaro di così si ri-muore).

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fonte dell’immagine:
https://nuovoteatromadeinitaly.sciami.com/carmelo-bene-biografia-opere/maurizio-grande-automatico-autentico-carmelo-bene-linea-dombra-1995/

postpoesia e dintorni: lunedì 31, incontro su “qualche uscita”, di jean-marie gleize

TIC Edizioni, Roma 2021

TIC Edizioni presenta
QUALCHE USCITA. POSTPOESIA E DINTORNI
di Jean-Marie Gleize

Incontro con Florent Coste, Luigi Magno, Gian Luca Picconi
Lunedì 31 gennaio 2022, alle ore 21:00
Tic Talk a cura di Emanuele Kraushaar e Michele Zaffarano
Online in diretta streaming sui canali:
https://tinyurl.com/ticedizioni
o https://www.facebook.com/ticedizioni

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Scheda del libro:
La poesia è per noi oggi innanzitutto ‘lapoesia’, un grande totem storico che continua ad attraversare le istituzioni scolastiche e i mezzi d’informazione e a imporre termini chiave come ‘espressività’, ‘armonia’, ‘sincerità’, ‘autenticità’, ‘visione’. D’altro canto, anche la ‘repoesia’, rovistando il quotidiano alla ricerca delle tracce di un canto essenziale, non rappresenta altro che l’ennesimo nostalgico avatar di quello stesso totem. Quanto alla ‘neopoesia’, apparentemente più in fase con il presente grazie ai suoi sempre aggiornati e spettacolari artifici tecnico-retorici, essa punta soprattutto a moltiplicare l’effetto “fantasmagorico”.
Dalla fine dell’Ottocento (dopo Rimbaud, per intenderci), alcuni autori hanno cercato di “liberare” la poesia da sé stessa, per riconcepirla sotto altre latitudini. Pensandola prima di tutto come un modo per comprendere la realtà, questi altri autori si sono consequenzialmente impegnati a ricercare gli strumenti concettuali, verbali e formali più adatti a tale nuova intesa.
I quindici interventi raccolti in questo volume partono tutti dal presupposto che esista un ‘fuori’ e un ‘dopo’. E che non ci sia solo ‘un’ modo per uscirne, ma che si possa contare su una pluralità di gesti, di atteggiamenti e di disposizioni (alla fuga), secondo le diverse maniere con cui può essere pensata una rifondazione (una riconversione) dell’“industria logica” letteraria. I cantieri postgenerici che questo libro descrive (nel loro contesto e considerandone le finalità “politiche”) sono vasti. Si tratta in fondo di atti e di azioni: d’insubordinazione.

Evento facebook:
https://www.facebook.com/events/651540632854836

Per ordinare il libro:
https://ticedizioni.com/products/qualche-uscita-postpoesia-e-dintorni-jean-marie-gleize

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teoria generale dello spirito come atto puro (1) / michele zaffarano. 2007