L’estratto anticipato qualche giorno fa affronta un certo numero di (prime) questioni, tra cui l’indecidibilità del momento ironico, l’atto di leggere=eseguire la poesia, l’esplorazione non garantita di territori testuali nuovi, o meglio creati dall’esplorazione stessa.
Mi azzardo a dire che l’intervento integrale ha poi ulteriori meriti, non solo di completezza ma anche in riferimento a non poche (e non innecessarie) precisazioni, su scritture di ricerca, oralità, installazioni verbali, performance, poesia francese e poesia italiana, post-poesia eccetera. Eccolo, dunque, il file audio integrale:
Andrea Tomasini, Marco Giovenale, dialogo, Macro, Charles Nodier, 1799, Charles Baudelaire, il verso libero e il verso necessario, Giuliano Mesa, Novecento, Giampiero Neri, ritmo, Rimbaud, morte di dio, Nietzsche, scritture di ricerca, gammm, indecidibilità, indecidibilità del testo ironico, capire / essere capiti, “leggere” la poesia, leggere “la poesia”, verso-non-verso, prosa, cambio di paradigma, scritture recenti, vecchie e nuove strutture, post-poesia, tipografia, senso-non-senso, Francis Ponge, le varianti che fanno il testo complessivo, Nathalie Quintane, Vincenzo Ostuni, Mariangela Guatteri, Nanni Balestrini, Michele Zaffarano, Cinque testi, necessità in poesia, ritmo e metro e non, chiusura del Novecento, Rosa Menkman, Derek Beaulieu, testo installativo, lettore google, Andy Warhol, performance, 1961, Umberto Eco, sperimentazione, semiosfera complessa, problematicità, fotografia, impressione delle immagini, ambientarsi, riambientarsi, eccetera. i cancelletti metteteli voi
fotografie di Andrea Tomasini (1 e 2) e Maddi Pelagalli (3)
Sull’idea (imprecisa e da verificare) di non assertività, legata a quanto oltrepassa la linea del cambio di paradigma, linkerei daccapo il testo Riambientarsi (ma anche difendersi), in https://slowforward.wordpress.com/2012/09/29/riambientarsi-ma-anche-difendersi (e qui), nel quale forse in modo prolisso – ma proprio per questo estesamente – è esplicitato cosa si può intendere per scritture nuove, non assertive, appunto. (Traendo esempi, in particolare, da Corrado Costa, Christophe Tarkos, Ida Börjel). (Con ciò relativizzando, giocoforza, l’aggettivo “nuove”, come più volte spiegato).
E aggiungo: c’è un’assertività su cui si può (diciamo così) concordare, di cui si può prendere anche felicemente atto, pur facendo essa riferimento a un “prima” del cambio di paradigma. È l’assertività di chi scrive egregiamente in modo “modernista”, tutt’ora, a cambio di paradigma avvenuto. Cioè è l’assertività di una qualche lirica (o antilirica) che funziona, che lavora in direzioni note ma con acquisizioni interessanti e ben più che semplicemente interessanti. (Per dire: alcune cose di Giuliano Mesa, principalmente il Tiresia). (Mentre già Quattro quaderni è assai poco modernista, è evidentemente oltre/dopo il paradigma, in un modo del tutto inedito/isolato rispetto ad esperienze di altri autori). A me sembra percorso affascinante e produttivo; talvolta, sicuramente, rischioso (nel senso che è facile, percorrendo una strada simile, non spostarsi da una determinata linea di preorientamento o previsione dell’assenso del lettore). (Attraverso la struttura e l’architettura complessiva del testo, se non attraverso i meccanismi interni, microtestuali, consueti: rima, omofonie, a-capo significativi, isotopie, ..).
Sull’idea (imprecisa e da verificare) di non assertività, legata a quanto oltrepassa la linea del cambio di paradigma, linkerei daccapo il testo Riambientarsi (ma anche difendersi), in https://slowforward.wordpress.com/2012/09/29/riambientarsi-ma-anche-difendersi (e qui), nel quale forse in modo prolisso – ma proprio per questo estesamente – è esplicitato cosa si può intendere per scritture nuove, non assertive, appunto. (Traendo esempi, in particolare, da Corrado Costa, Christophe Tarkos, Ida Börjel). (Con ciò relativizzando, giocoforza, l’aggettivo “nuove”, come più volte spiegato).
E aggiungo: c’è un’assertività su cui si può (diciamo così) concordare, di cui si può prendere anche felicemente atto, pur facendo essa riferimento a un “prima” del cambio di paradigma. È l’assertività di chi scrive egregiamente in modo “modernista”, tutt’ora, a cambio di paradigma avvenuto. Cioè è l’assertività di una qualche lirica (o antilirica) che funziona, che lavora in direzioni note ma con acquisizioni interessanti e ben più che semplicemente interessanti. (Per dire: alcune cose di Giuliano Mesa, principalmente il Tiresia). (Mentre già Quattro quaderni è assai poco modernista, è evidentemente oltre/dopo il paradigma, in un modo del tutto inedito/isolato rispetto ad esperienze di altri autori). A me sembra percorso affascinante e produttivo; talvolta, sicuramente, rischioso (nel senso che è facile, percorrendo una strada simile, non spostarsi da una determinata linea di preorientamento o previsione dell’assenso del lettore). (Attraverso la struttura e l’architettura complessiva del testo, se non attraverso i meccanismi interni, microtestuali, consueti: rima, omofonie, a-capo significativi, isotopie, ..).