Pubblicato nel 1965 dalla giovane casa editrice Samonà e Savelli, Scrittori e popolo di Asor Rosa è diventato nel corso degli anni sessanta e settanta uno dei libri di culto dei giovani intellettuali della nuova sinistra su cui ha avuto un effetto a dir poco dirompente proprio per la sua intensa carica polemica e il suo spirito di rottura, riscontrando il favore di un vasto pubblico di studenti e di lettori. Raramente un libro di saggistica letteraria è stato così fortunato. Insieme a Verifica dei poteri di Franco Fortini, pubblicato nello stesso anno, esso infatti ha aperto una nuova fase nell’ambito della cultura marxista italiana, animato da una passione rivoluzionaria e da una carica utopica davvero singolari, che ha pochi precedenti nella tradizione letteraria e culturale italiana. Scritto tra il 1962 e il 1964, nel clima di riviste come “Quaderni rossi” e “Classe operaia”, Scrittori e popolo ripercorre un secolo e mezzo di storia della cultura e della letteratura, dagli albori dell’ottocento fino ai primi anni sessanta, soffermandosi sui protagonisti della cultura letteraria italiana contemporanea che vengono riletti e interpretati con gli occhi del presente e con uno spirito iconoclasta e demolitore. Infatti, lo scopo principale che si prefiggeva Asor Rosa nel suo libro era quello di liquidare un certo atteggiamento politico paternalistico e rinunciatario assunto dagli scrittori italiani nel corso del tempo nei confronti delle classi subalterne, la politica culturale della sinistra tradizionale, la logica nazional-popolare e il progressismo post-bellico, il rapporto che si era instaurato tra movimento operaio e intellettuali, tra politica e cultura. Partendo da questa premessa, Asor Rosa accusa la maggior parte degli scrittori italiani di aver mantenuto nei confronti delle classi subalterne un atteggiamento di vago e “sussiegoso umanitarismo” e di asfittico provincialismo che ha finito per condizionare profondamente anche la ricerca letteraria, e di aver rappresentato le classi subalterne in maniera ottimistica, mitologica e mistificata, tanto che l’andata verso il popolo di molti di loro si è tradotto in un impegno generico, che ha finito per smarrire qualsiasi impronta classista e rivoluzionaria.
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perugia, 13-14 ottobre: per giorgio manganelli

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“sapienziale”: un saggio di davide castiglione, online su ‘polisemie’
Davide Castiglione annuncia su fb l’uscita su Polisemie di “uno studio monstre (42 pagine)” in cui sviluppa “un modello stilistico-pragmatico per analizzare gli enunciati universali o almeno generali (sentenze, proverbi, stereotipi, tesi ecc.) in poesia” applicandolo “a quattro autori intensamente frequentati: Cristina Annino, Milo De Angelis, Marco Giovenale e Guido Mazzoni”, cercando inoltre “di ridefinire il controverso concetto di assertività, ancorandolo a ciò che in effetti fa il testo, proprio a partire da quella classe di enunciati”.
https://polisemie.warwick.ac.uk/index.php/polisemie/article/view/890/934
date e dati su “ricerca”, “scrittura di ricerca”, “ricerca letteraria” [prima parte], in ‘il verri’ n 75, feb. 2021
Marco Giovenale, Date e dati su “ricerca”, “scrittura di ricerca”, “ricerca letteraria”
[prima parte]
in «il verri», n. 75, feb. 2021, pp. 110-124:
scritto nell’11, e ai popoli se ne reca liberale recording mo / differx. 2022

da oggi al 5 maggio, convegno su alfredo giuliani all’università di chieti-pescara (visibile anche in streaming web)
3-5 maggio 2022, convegno su alfredo giuliani @ università di chieti-pescara
il sistema immunitario del mainstream (mini-notilla)
Per certi aspetti sembra che il sistema immunitario del mainstream, che negli anni Ottanta (per via della vastità delle ricerche letterarie ancora in corso dagli anni Settanta) aveva reagito in ritardo contro la sperimentazione 1963–71–77, si sia invece con gli anni Duemila attrezzato per sovra-reagire, con buona prontezza, e già dal 2003 circa, contro interventi anche minimi, iniziative, incontri, materiali che potevano uscire su vari blog, Splinder e Blogspot, o su Nazione indiana, Absolute poetry, gammm, poi alfabeta2 eccetera; o contro libri come Prosa in prosa (2009).
Dal 2009 in avanti direi che autori, editori e critici mainstream o sottoboschivi, concordi, non abbiano fatto altro che alzare il tiro, e ridimensionare ogni centimetro possibile del territorio sperimentale. (Che infatti attualmente può contare solo su quattro-cinque collane o editori).
Già su un piano primario, quello lessicale, si può dire che è da definire oggettiva l’opposizione, nel corso degli anni, a un discreto numero di espressioni e ipotesi critiche: “scrittura di ricerca” (da taluni deformata insistentemente in poesia di ricerca), “cambio di paradigma”, “non-assertività”, “scritture installative”, “post-poesia”, “letteralismo”, “prosa in prosa” (intenzionalmente misinterpretata e normalizzata come poesia in prosa).
Questo, fino a negare l’evidenza. Fino, cioè, a negare che gli anni più vicini a oggi abbiano visto non un attenuarsi ma uno stabilizzarsi e perfino crescere delle scritture non allineate, e della loro varietà. (Pensiamo solo all’exploit di Tic Edizioni, recentissimo). Dire che la sperimentazione al principio degli anni Venti del XXI secolo stia ripiegando le vele mi sembra una grossa imprecisione, eufemisticamente. Anche solo pensando al lavoro su autori nodali del passato che Diaforia (Agnetti, Spatola, Diacono) e Argo (Villa, Costa) hanno fatto e fanno con alacrità.
Al contrario, le vele sono tutt’altro che ammainate. Solo (ed è tantissimo) editoria e accademia pensano ad altro.
la situazione in poesia / differx. 2022
ricerca poetica, poesia di ricerca, scrittura di ricerca, ricerca letteraria
Roberto Di Marco: «nei dintorni del “verri” ed entro i suoi stessi confini, accanto alla ricerca poetica nuova, si svolgeva un’intensa attività critica e teorica che rinnovava l’orizzonte problematico entro il quale la ricerca letteraria avviene. Quindi giustizia vuole che il Gruppo 63 e l’intero movimento nuovo sia nato in Italia grazie all’attività culturale e alla ricerca letteraria radicale del “verri” e dei Novissimi, ciò anche se poi nel Gruppo 63 si sono trovati riuniti filoni di ricerca sulla forma-parola […]» (in Il Gruppo 63 quarant’anni dopo. Bologna, 8-11 maggio 2003. Atti del Convegno, Pendragon, Bologna 2005, p. 198. Parti in grassetto, ovviamente, mie).
Le espressioni “scrittura di ricerca”, “ricerca poetica”, “poesia di ricerca”, “ricerca in letteratura” e altre non nascono negli anni ’80 o ’90 o Zero, ma molto prima. Pensiamo soltanto a “musique de recherche”, che in Francia risale addirittura agli anni Quaranta. Un post sugli argomenti è qui: https://slowforward.net/2020/03/31/scrittura-di-ricerca-senza-virgolette/.
Mentre la prima parte di un saggio sulle occorrenze delle dette espressioni (Date e dati su “ricerca”, “scrittura di ricerca”, “ricerca letteraria”) è nel n. 75 del “verri”, febbraio 2021: https://slowforward.net/2021/04/16/il-verri-n-75-ma-quale-valore/.
Che agli anni 1961-63 si debba comunque prestare particolare attenzione è evidente non solo per un minimo di decenza in ambito di storiografia letteraria (decenza di cui l’editoria mainstream ha perso contezza da tempo, se mai l’ha avuta), ma perché non è proprio evitabile vedere in quegli anni un inizio di qualcosa che – lo si chiami cambio di paradigma o in qualsiasi altro modo – continua anche oggi, e (si metta l’anima in pace l’editoria appena nominata) continuerà domani.
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“qualche uscita. postpoesia e dintorni” di jean-marie gleize : ora disponibile presso tic edizioni
La poesia è per noi oggi innanzitutto lapoesia, un grande totem storico che continua ad attraversare le istituzioni scolastiche e i mezzi d’informazione e a imporre termini chiave come espressività, armonia, sincerità, autenticità, visione. D’altro canto, anche la repoesia, rovistando il quotidiano alla ricerca delle tracce di un canto essenziale, non rappresenta altro che l’ennesimo nostalgico avatar di quello stesso totem. Quanto alla neopoesia, apparentemente più in fase con il presente grazie ai suoi sempre aggiornati e spettacolari artifici tecnico-retorici, essa punta soprattutto a moltiplicare l’effetto “fantasmagorico”.
Dalla fine dell’Ottocento (dopo Rimbaud, per intenderci), alcuni autori hanno cercato di “liberare” la poesia da sé stessa, per riconcepirla sotto altre latitudini. Pensandola prima di tutto come un modo per comprendere la realtà, questi altri autori si sono consequenzialmente impegnati a ricercare gli strumenti concettuali, verbali e formali più adatti a tale nuova intesa.
I quindici interventi raccolti in questo volume partono tutti dal presupposto che esista un fuori e un dopo. E che non ci sia solo un modo per uscirne, ma che si possa contare su una pluralità di gesti, di atteggiamenti e di disposizioni (alla fuga), secondo le diverse maniere con cui può essere pensata una rifondazione (una riconversione) dell’“industria logica” letteraria. I cantieri postgenerici che questo libro descrive (nel loro contesto e considerandone le finalità “politiche”) sono vasti. Si tratta in fondo di atti e di azioni: d’insubordinazione.
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Libro a cura di Michele Zaffarano
2003-2015: espressioni che non vogliono (né volevano) venir fissate come “categorie”
da un post del 2015 in N.I.:
https://www.nazioneindiana.com/2015/10/12/qualche-asserzione-sparsa/
Se vado con la memoria a prima del 2005, precisamente al 2003-04 o anche precedentemente, rammento la mia ipotesi di una scrittura definita come coerente con una idea di “informale freddo” (a differenza della corrente tellurica/vulcanica dell’informale in arte, oltre mezzo secolo prima): cfr. Note di ricerca e ascolto di autori: un informale freddo – e una rete tesa ai punti, in «L’Ulisse», n. 1, giugno 2004, http://www.lietocolle.com/cms/img_old/ulisse_1.pdf. (ma cfr. anche http://www.italianisticaonline.it/2004/fortini/). Se andiamo al 2006, troviamo l’ipotesi – di Bortolotti e mia – di un differenziarsi (e forse vicendevole precisarsi) di “installazione” e “performance”: http://gammm.org/index.php/2006/07/16/tre-paragrafi-gbortolotti-mgiovenale/. Nel 2009 esce il volume collettivo Prosa in prosa (ex link: http://www.l elettere.it/site/e_Product.asp?IdCategoria=&TS02_ID=1502; attualmente: https://www.lelettere.it/libro/9788860873019, ma fuori catalogo) il cui titolo è formula che si deve a Jean-Marie Gleize. Nel 2010 o poco prima ha iniziato a diffondersi una mia fissazione: quella che tutti si sia incappati recentemente/felicemente in un evento avviatosi già coi primi anni Sessanta: un “cambio di paradigma” (cfr. il n. 43 del «verri», giugno, 2010, e poi https://www.nazioneindiana.com/2010/10/21/cambio-di-paradigma/). Se andiamo al 2011 abbiamo “loose writing”, espressione che ho pensato di poter riferire soprattutto a gran parte del lavoro di Carlo Bordini, e ad altri autori: https://puntocritico2.wordpress.com/2011/01/25/quattro-categorie-piu-una-loose-writing/. (Di recente la collana Syn ha ospitato un testo di Alessandra Carnaroli che mi pare decisamente esemplare, in questi termini: http://www.ikona.net/alessandra-carnaroli-elsamatta/).
Infine: la coppia “assertivo” / “non assertivo” è rintracciabile daccapo sia nel testo Cambio di paradigma (2010, cfr. sopra) sia in un documento caricato nel marzo dello stesso anno sul mio blog: Prosa in prosa e gammm.org in (non)rapporto con le avanguardie storiche, https://slowforward.files.wordpress.com/2010/03/mg_nonrapp.pdf, così come in un dibattito su Absolute poetry, di cui si è purtroppo perso il link, temo; ma in cui mi riferivo alle prose in prosa come a testi che sono “non versi in prosa, non poème en prose, non prosa lirica, non narrazione, non epica, non prosa filosofica, non prosa d’arte, non prosa assertiva-artaudiana (Noël), non frammenti/aforismi che segmentano un pensiero (Bousquet, Cioran), non voyage/onirismo (Michaux)”. (E cfr. inoltre: https://slowforward.wordpress.com/2013/07/05/corrispondenza-privata-_-1-assertivo-non-assertivo/).
Bon. A valle di questo non richiesto iter mnemotecnico, tornando a quanto dicevo, ecco: “informale freddo”, “cambio di paradigma”, “loose writing”, “non assertività”, così come altre espressioni che mi è capitato di usare o addirittura coniare (penso anche a vocaboli inglesi: “installance”, “to drawrite”), non sono categorie, non vogliono essere scatole, definizioni. Vengono usate come tali, spesso. Ma sono, probabilmente, ambienti, costantemente dotati di tutti i comfort dubitativi degli ambienti che – da architetto deviante – escogito.
Abitare in un ambiente provvisorio e dubitante collide spesso con l’intento di mettervi radici, o di sedersi comodi. Il dubbio serve a questo: a non fermarsi troppo, e a non sentirsi troppo a proprio agio. Autori o critici stanziali, invece, si trattengono, o al contrario scappano a gambe levate come si fosse intenzionati a vender loro una casa infestata.
A scanso di equivoci (che rimarranno, temo) qui reinsisto: le espressioni sopra elencate sono espressioni, non scatole. Non vorrebbero essere categorie. Tuttavia sono e fanno “critica”, quindi sono a loro volta asseveranti, assertive (con quota d’ombra). È evitabile? Non credo.
(Ma si tratta di critica, appunto, non di prose o poesie…)
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il nuovo fascicolo del “verri” (n. 76) è in distribuzione: numero su carlo bordini
aggiornamenti costanti, differenze e ripetizioni su t.me/slowforward e mgiovenale.medium.com
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Poi non dite che non vi avevo avvertito, e che Hejinian vi suona nuova, Tarkos non lo conoscete, l’asemic writing è un gateau di semi e i non assertivi sono un progetto Marvel.
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video della sessione 9 di twentytwenty extended conference (6 apr. 2021)
Davide Castiglione (Vilnius University), Sapienziale. Massime, gnomi e sentenze nella poesia contemporanea
Poster: Pietro Polverini (Università degli Studi di Macerata), Edoné, ectoparassitismo e parodia nella poesia di Patrizia Valduga